Esterovestizione alla luce della attuazione della riforma in materia di fiscalità internazionale

Il contesto

Nel corso degli anni, l’Amministrazione finanziaria ha spostato l’ambito della propria ricerca di fenomeni di evasione fiscale, passando da un orizzonte territoriale domestico – italiano – a uno su scala internazionale, focalizzando l’attenzione sulle operazioni con cui le imprese italiane tendono a spostare all’estero le relative basi imponibili e i profitti, per beneficiare di una tassazione inferiore a quella italiana oppure della completa esenzione d’imposta.

Tale fenomeno, conosciuto come esterovestizione societaria, si realizza quando una società, pur risultando fiscalmente residente all’estero, deve ritenersi fiscalmente residente in Italia, e quindi ivi tassata, in ragione di alcuni criteri di collegamento che la legano al territorio dello Stato italiano.

Novità del D.Lgs. 209/2023 e recenti pronunce

A tal proposito, notevole rilevanza deve essere attribuita al D.Lgs. 209/2023 (“Attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale”), il cui articolo 2 ha profondamente cambiato, con efficacia dal 1° gennaio 2024, l’articolo 73 del TUIR, che attualmente recita: “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale. Per sede di direzione effettiva si intende la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso”.

L’Agenzia delle Entrate, con Circolare 4 novembre 2024, n. 20, ha osservato che il criterio della sede di direzione effettiva, letto unitamente a quello della gestione ordinaria, in via principale segna il superamento del riferimento alla sede dell’amministrazione, che in passato ha determinato significative difficoltà interpretative e applicative.

Scopo della riforma, tra gli altri, è stato, quindi, collegare l’individuazione della residenza al principio di prevalenza della sostanza sulla forma, attribuendo rilevanza agli aspetti di natura fattuale, al fine di individuare il collegamento tra la sede di direzione effettiva della società con quello della gestione ordinaria in via principale con il territorio italiano, realizzando un approccio che amplia e rafforza la certezza del diritto, sempre nel rispetto delle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia con i Paesi esteri.

La modifica necessaria

La necessità di una modifica dell’ordinamento  in tal senso si era rivelata tanto più urgente quanto più lo sviluppo tecnologico ha reso possibile la scissione tra il luogo di svolgimento dell’attività d’impresa e il luogo dove si assumono le decisioni strategiche. Sul punto, in assenza di una consolidata prassi internazionale, il Fisco ritiene che ogni caso vada valutato attentamente per verificare se, a dispetto della presenza fisica di un’azienda nel territorio italiano, questa possa essere comunque diretta dall’Italia attraverso gli strumenti tecnologici attualmente disponibili sul mercato. 

Quindi, ai sensi dell’art. 73, comma 3, del TUIR, si considerano esterovestite le società che, per quanto risultino formalmente residenti all’estero, in Italia abbiano:

  • la sede legale, o
  • la sede di direzione effettiva, oppure
  • la gestione ordinaria in via principale.

Più nello specifico:

  • la sede di direzione effettiva coincide con la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso (con contestuale recepimento del criterio di localizzazione della residenza fiscale adottato nella generalità delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni);
  • la gestione ordinaria è – invece – riferita al continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso (imponendo, quindi, una valutazione dell’effettivo radicamento della società, dell’ente o dell’associazione in un determinato territorio).

Lo stesso art. 73 del TUIR (art. 73, commi 5-bis e 5-ter, del TUIR) prevede adesso alcune ipotesi di presunzione di residenza fiscale in Italia, quindi di presunzione di esterovestizione, in particolare per le società che detengono partecipazioni di controllo (ai sensi dell’art. 2359, comma 1, c.c.) in società residenti in Italia se, in alternativa:

  1. sono controllate, anche indirettamente (ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, c.c.), da soggetti residenti in Italia;
  2. sono amministrate da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti in Italia.

Detta presunzione di residenza fiscale in Italia può essere superata solo fornendo la prova contraria relativa all’effettivo radicamento della società nel territorio dello Stato estero.

Per maggiori dettagli sulle caratteristiche e requisiti riferiti alla residenza fiscale delle società si rinvia ad un nostro precedente articolo.

La residenza delle società nella normativa convenzionale

Con l’implementazione delle misure antielusive contenute nel Rapporto BEPS anche il concetto di residenza fiscale previsto dal Modello OCSE contro le doppie imposizioni ha subito delle modifiche, le quali sono destinate ad esser recepite dai Paesi aderenti all’Accordo Multilaterale OCSE.

L’attuazione delle misure contenute nell’Azione 6 del Progetto BEPS ha determinato la modifica delle “tie-breaker-rules previste dall’art. 4 del Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni al fine di dirimere i conflitti di doppia residenza tra i Paesi contraenti con riferimento alle società ed evitare che i contribuenti possano abusare dei criteri per dirimere i conflitti di residenza e ottenere dei benefici indebiti attraverso la relativa manipolazione.

Prima delle modifiche intervenute con l’Azione 6 del Pacchetto BEPS, l’art. 4, par. 3, del Modello OCSE, al fine di dirimere i conflitti di residenza riguardanti le società, faceva riferimento allo Stato in cui fosse ubicata la “sede di direzione effettiva” (“Place of effective management” – POEM) dell’impresa, ovvero il luogo in cui vengono adottate le decisioni più importanti relative alla gestione della società e allo svolgimento della relativa attività.

A seguito della modifica, invece, il nuovo testo del citato art. 4, par. 3, prevede un approccio “case-by-case” per risolvere i “conflitti” di residenza relativamente alle società, laddove spetta agli Stati attivare delle “procedure amichevoli” (“Mutual Agreement Procedure” – MAP), ai sensi dell’art. 25 del Modello OCSE, per individuale quale dei due Paesi è legittimato a ritenere la società residente nel proprio territorio ai sensi del Trattato.

Esterovestizione societaria – il recente orientamento della Corte di Cassazione

La tematica della esterovestizione societaria torna sempre più frequentemente ad interessare la Corte di Cassazione, che con diverse ultime pronunce ha avuto l’occasione di precisare le condizioni affinché una società estera possa ritenersi “esterovestita”, tale da giustificare l’attività di accertamento dell’Agenzia delle Entrate.

Interessanti principi di diritto sono stati recentemente espressi dalla suprema Corte di cassazione con la sentenza n. 2458/2025, la quale ha esaminato il caso di controllo totalitario di una società residente nelle Antille olandesi da parte di soggetti italiani. I giudici rilevano preliminarmente che l’ipotesi della c.d. “esterovestizione” ricorre quando una società, pur mantenendo nel territorio dello Stato la sede amministrativa, intesa quale luogo di concreto svolgimento dell’attività di direzione e gestione dell’impresa, localizza la propria residenza fiscale all’estero al solo fine di fruire di una legislazione tributaria più vantaggiosa. La riqualificazione della residenza fiscale può essere dimostrata mediante presunzioni, purché gli indici della fittizia localizzazione, desumibili da tutti gli elementi indiziari acquisiti agli atti di causa, siano esaminati nel loro insieme, non atomisticamente, secondo i criteri della gravità, precisione e concordanza, tali da trarre vigore l’uno dall’altro, completandosi a vicenda.

Sempre sulla base dell’elaborazione giurisprudenziale espressa in sede di legittimità (cfr. Cassazione n. 16697/2019), ricorre l’ipotesi di esterovestizione quando una società, la quale ha stabilito nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione, da intendersi come luogo in cui si svolge in concreto la direzione e gestione dell’attività di impresa e dal quale promanano le relative decisioni, localizzi la propria residenza fiscale all’estero al solo fine di fruire di una legislazione tributaria più vantaggiosa.

Ciò posto, nel caso esaminato dai giudici di Piazza Cavour nella citata sentenza n. 2458/2025, l’amministrazione finanziaria ha fornito plurimi elementi atti a dimostrare presuntivamente l’esistenza del fenomeno “esterovestizione” avuto riguardo alla composizione dell’organo amministrativo e, infine, con riferimento all’operatività della presunzione legale relativa prevista dall’articolo 73, comma 5-bis del TUIR, in ragione della posizione di controllo totalitario rivestita da soggetti residenti in Italia.

Gli elementi sopra indicati, tuttavia, non sono stati presi in considerazione dalla sentenza impugnata, la quale si è unicamente focalizzata su di un elemento del tutto marginale e recessivo, dal punto di vista probatorio, quale una mera certificazione di residenza fiscale all’estero.

In definitiva, è quindi “mancata quella valutazione globale e non atomistica degli elementi probatori in atti, rilevanti al fine di disvelare l’esistenza del contestato fenomeno di esterovestizione”.

Le conclusioni

Alla luce della giurisprudenza rilevante, le conclusioni sembrano basarsi sui seguenti elementi comuni e più frequenti:

  • la direzione, le decisioni, le strategie e le autorizzazioni di investimento e di spese (dalle più importanti, in materia statutaria e contabile, alle più modeste, come quelle riguardanti la partecipazione a corsi di inglese, pagamento di spese mediche o di cancelleria minuta) relative alle società estere sembrano adottate in Italia dai vertici di una società italiana, residenti in Italia, identificati come i responsabili delle stesse;
  • nessuna prova è prodotta dalle società agli atti del giudizio che autorizzasse a ritenere che le decisioni, le deliberazioni e le direttive delle società avessero la loro origine nel paese estero;
  • la maggior parte della corrispondenza, pur avendo l’intestazione delle società estere, era di fatto sottoscritta in Italia, circostanza desunta dall’esame delle lettere di trasmissione spedite dall’Italia all’estero;
  • gli amministratori italiani delle società non presenziano di persona alle riunioni;
  • la sede estera delle società con limitate dimensioni logistiche e strutturali (e.g., numero di dipendenti estremamente ridotto e non coerente con la presunta operatività).

Per cui, infine, la libertà di stabilimento non sempre viene riconosciuta a quelle società che, sulla base di un insieme di elementi oggettivi, abbiano come unico scopo quello di fruire di un vantaggio fiscale all’estero senza che a ciò siano collegate altre ragioni di business.

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